Il rientro in Italia delle aziende italiane all’estero

August 31, 2020

Prendiamo spunto da un dibattito che ha subito una accelerazione negli ultimi tempi e di cui troviamo conferma anche su pubblicazioni recenti della stampa specializzata per fare alcune riflessioni che riguardano da vicino il mondo delle imprese.

Uno degli effetti del Covid19 sarà il ritorno a casa di tante imprese italiane all’estero.

Infatti, secondo uno studio di alcune università italiane sull’impatto al tempo del Covid-19 (cit. sole 24 ore 9.8.2020), sono già 175 le aziende che hanno deciso di rimpatriare.

E il ritmo aumenta in modo costante in tutto il mondo.

Questo si colloca nel più generale fenomeno che i sociologi hanno coniato con il termine “re-imagination”, che consiste nel nuovo modo di rapportarsi tra persone e cose. Quindi scambi commerciali meno internazionali, smart working più diffuso, viaggi di lavoro all’estero sempre più diradati.

Il Covid-19 ha imposto quindi un nuovo impatto anche sugli scambi economici e sul modo di fare business. Viene data sempre più priorità alla salute a scapito degli affari e quindi le procedure di vita si devono adeguare di conseguenza.

L’emergenza sanitaria ha quindi accelerato di brutto un percorso che ormai era già in atto da tempo, quando abbiamo iniziato a pensare che la globalizzazione forse non era la panacea che ci aspettavamo.

E’ inevitabile quindi attendersi un massiccio rimpatrio delle imprese italiane, una tendenza che ora è accelerata dal Covid, e che ha un impatto su tutti i paesi del mondo.

Come giustamente viene citato nel redazionale che abbiamo richiamato è “difficile prevedere se la globalizzazione sia definitivamente superata o, piuttosto, sia in corso una riattualizzazione”. La citazione è indirizzata a Joseph Stiglitz, Nobel per l’Economia, che da anni ha previsto la fine del processo di globalizzazione scrivendolo nel suo libro “La globalizzazione e i suoi oppositori”.

In definitiva con la pandemia è sempre più chiara la tendenza delle imprese a ritornare nel paese Italia. Certamente oltre ai riflessi negativi sanitari influiscono gli aumenti dei costi già in atto ma accelerati dalla pandemia. Basti pensare alla difficoltà avuta nel periodo di lockdown ad approvvigionarsi la materia prima e le merci da paesi che erano diventati strategici per questo.

Sempre nello stesso redazionale del Sole 24 ore viene fatto riferimento al rapporto «il Reshoring manifatturiero ai tempi del Covid-19, trend e scenari per il sistema economico italiano», elaborato da un pool di studiosi di diverse università Italiane, dove viene spiegato in termini crudi che: «Il Covid-19 sta avendo e avrà effetti sulle scelte localizzative delle attività produttive e di gestione delle forniture. Nel breve periodo (entro un anno) si sono già registrati casi di rilocalizzazioni nel Paese di origine dovuti all’impossibilità di utilizzare la propria capacità produttiva disponibile in Cina o di acquistare da fornitori cinesi». E allo stesso tempo si valuta la possibilità di «cogliere opportunità di mercato per prodotti ad alto valore aggiunto precedentemente posti fuori mercato dalla concorrenza dei Paesi low cost».

Ecco quindi come questa situazione viene indicata dagli studiosi che hanno steso questo rapporto come una opportunità unica per il nostro Paese, che dovrebbe “cercare di cogliere con politiche volte a favorire il rientro di alcune attività produttive e accogliere quelle di altri Paesi che decidono di ricollocarsi”.

Le decisioni del nostro governo oggi più che mai diventano importanti per GESTIRE questo processo, che non sarà certamente brevissimo, ma non deve trovarci impreparati. Negli ultimi provvedimenti approvati da governo,  purtroppo non troviamo niente di interessante né in un senso (protezione della internazionalizzazione) né in altro (gestione controllata del “reshoring”), né tanto meno provvedimenti destinati ad accogliere altri paesi che intendono ricollocarsi.

L’evidenza più eclatante di questo è l’attuale difficoltà a gestire il flusso delle persone (imprese) da un paese all’altro. Né tanto meno un aiuto tangibile viene dalle decisioni della Comunità Europea.

Siamo tutti in attesa di qualcosa che non sappiamo se verrà e quando verrà (vaccino) e nel contempo il rallentamento del moltiplicatore del commercio internazionale è evidente. Come giustamente si evidenza nel redazionale citato “per ogni punto percentuale di crescita del Pil si registravano 2 punti percentuali di crescita del commercio internazionale, ma dal 2008 il rapporto si è stabilizzato (con coefficiente di elasticità pari a 1).

Eppure anche da parte UE si considera il “reshoring” come una possibilità per la risalita del Pil europeo. Non è certamente facile per la Comunità Europea elaborare strategie del genere quando non esiste ancora una politica di armonizzazione delle agevolazioni ma soprattutto del carico fiscale fra i diversi paesi. In questo panorama il nostro paese non è certamente agevolato in quanto l’incidenza dei costi, del carico fiscale e della burocrazia non incoraggia certo il rientro delle imprese che tutt’oggi, continuano a vedere (soprattutto le piccole imprese) la delocalizzazione in alcuni paesi esteri come la loro unica possibilità di sopravvivenza.

Male non sarebbe in questa visione strategica vedere un rientro dei poteri decisionali esclusivamente a livello centralizzato, venendo meno è vero, la lungimiranza di alcune regioni del nostro paese che però vanno a scapito di una visione “nazionale” delle strategie da mettere in campo.

Volenti o nolenti si ritorna sempre ai soliti problemi: pressione fiscale più bassa, eliminazione della burocrazia (almeno quella in eccesso) un sistema giudiziario efficiente.

Essere presi in questo periodo dalle normative di “emergenza” è cosa normale e certamente necessaria. Ma bisogna pur pensare anche alle strategie future al cui finanziamento sono destinati anche gli aiuti comunitari che pare siano ormai definiti. Sprecare in provvedimenti “a pioggia” queste risorse sarebbe l’ennesimo fallimento del nostro paese.