Editoriale Inglese
In questo momento di recessione economica senza precedenti per il nostro Paese, riteniamo che anche le professioni, soprattutto quelle economiche, abbiamo l’obbligo di recitare un ruolo attivo in ausilio degli imprese e delle famiglie, di fronte alle autorità economiche e agli istituti bancari. Questo non significa che tali istituzioni siano indifferenti, né che sia obbligatorio un filtro, ma semplicemente che vada messo a disposizione di tutti il know-how e la conoscenza che i professionisti hanno accumulato nel corso della loro carriera scolastica e professionale.
Già da tempo si nota una lodevole attenzione da parte degli ordini professionali, ma occorre, ancor di più un coinvolgimento sempre maggiore di tutti gli iscritti. Basti pensare alla istituzione dei “tavoli di ascolto” contro il fenomeno dell’usura, alla specializzazione professionale nella gestione dei beni confiscati alla criminalità, alle stesse pratiche burocratiche nel campo fiscale e previdenziale, dove sempre più il professionista deve prestare attenzione alle agevolazioni introdotte dal legislatore.
Un supporto importante che il professionista economico può dare è quello nei confronti del sistema bancario, con riferimento al quale si nota una generalizzata riduzione delle disponibilità di credito a favore dell’economia reale accompagnata da un inasprimento delle condizioni applicate. Per comprendere meglio cosa stia succedendo nel settore bancario, dobbiamo fare un passo indietro.
Tutto nasce con la crisi dei “subprime” negli Stati Uniti nel 2006, ossia titoli di credito molto deboli per qualità del debitore che a loro volta sono stati cartolarizzati per essere distribuiti dal sistema nel resto del mondo. Ciò ha messo a rischio ed in ginocchio l’intero sistema bancario mondiale. La reazione ovvia degli investitori privati è stata quella di ritirare i depositi togliendo ossigeno alle banche ed alimentando così una crisi di liquidità, già innescata per altri problemi, con un processo di recessione più o meno evidente nelle varie aree del mondo. Questo fa parte ormai della storia ma tutt’oggi ne stiamo pagando le conseguenze.
Comunque la si mette è difficile individuare uno spiraglio che metta la parola “fine” alla crisi che attanaglia la nostra economia. Con preoccupazione notiamo fenomeni che sono sotto gli occhi di tutti: a) le aziende licenziano ed aumenta il tasso di disoccupazione; b) le aziende non investono; c) cala la produzione e soprattutto l’esportazione; d) i consumi interni diminuiscono a vista d’occhio; e) le aziende fuggono nei paesi emergenti quasi quale ultimo tentativo per non morire.
La presenza da anni del nostro studio in ROMANIA ci fa essere spettatori qualificati di questo fenomeno a cui pare che le stesse istituzioni di Stato non diano sufficiente importanza e minimizzino il fenomeno.
Confidiamo comunque nei provvedimenti che non possono essere più posticipati che e che mettano la parola “fine” alla disoccupazione, il taglio di tasse che riduca la pressione che altro non fa che portare al fallimento le imprese, e finalmente creare quell’ottimismo e voglia di lavorare che non è mai mancata al Popolo Italiano e che, per questo, è sempre stato apprezzato in tutti i paesi del mondo.
Claudio Pucci